06 Dalla Nigeria a Craven Road (passando per Northampton)
Di quella volta che ho scritto Dylan Dog, di come siamo passati da un’idea a una tavola a colori, di un gatto magico e di cosa lega Alan Moore a un serial killer del Medioevo.
Negli scorsi giorni ho fatto una capatina sull’unico social che riesco a frequentare senza infuriarmi troppo, Instagram, per lanciare un sondaggio su questa newsletter. Ho chiesto quali contenuti vorreste trovare tra attualità, fumetti, consigli per aspiranti autori e dietro le quinte… e per una manciata di voti ha vinto il sondaggio quest’ultima opzione. Sempre negli scorsi giorni il mio socio Lelio Bonaccorso ha condiviso un pagina dalla nostra (finora) unica incursione nel mondo Bonelli, una storia apparsa su Dylan Dog Color Fest 35 nel 2020 (ve lo ricordate che anno di merda? Io sì) con i colori di Stefania Acquaro.
Quindi ho pensato potesse essere interessante raccontare qualche retroscena proprio su quella storia breve, di cui a distanza di anni siamo ancora molto orgogliosi.
Una cosa che ho scritto
Tutto è partito da una domanda di Roberto Recchioni, all’epoca curatore del personaggio. Eravamo in macchina, dalle mie parti, perché Rrobe era venuto qui a partecipare a una rassegna che curavo, Inchiostro d’Autore. All’improvviso mi chiese quando mi sarei deciso a proporre una storia di Dylan. Io ho sempre avuto un certo timore reverenziale per il personaggio, l’unico Bonelli che seguo praticamente da sempre (insieme a Magico Vento e qualsiasi cosa faccia Luca Enoch, per ragioni anagrafiche anche da prima). Dunque, non mi sarei mai sognato: stavo bene nel mio angolino formato graphic novel. Roberto però mi disse che sarebbe stata una buona occasione per trattare i temi che mi stanno a cuore a un livello “mainstream” e di certo al fianco di Lelio.
Chiacchierando mi accorsi che l’idea ce l’avevo già: l’avevo letta sul giornale non molto tempo prima. A Palermo era stata smantellata una rete di traffico di esseri umani e prostituzione che metteva in contatto l’Italia con la Nigeria. Le donne vittime di questo traffico erano “legate” ai propri aguzzini, e a una “maman” in particolare, attraverso un subdolo e complesso sistema di credenze e superstizioni molto simile al Voodoo.
Le donne, così, avevano paura a denunciare e rimanevano soggiogate. Ho immaginato, anche scambiando idee con Roberto, che quelle suggestioni nel mondo di Dylan avrebbero voluto dire molto di più. Tra l’altro il tema della prostituzione è stata affrontato in uno dei più memorabili episodi della serie, Memorie dall’invisibile, che avremmo così omaggiato con riverenza affrontando di petto il timore reverenziale di cui sopra.
Insomma, abbiamo fatto una storia dove Dylan si finge cliente di una prostituta, dove ci sono temi e storie assolutamente veri in un contesto fantastico, citazioni di Hellboy e di Sin City, zombie, streghe, Boko Haram, i Monty Python, e per metà della storia Dylan e Groucho sono nudi come Sclavi l’ha fatti.
Questa qui sotto è la prima pagina del fumetto nella versione a matita di Lelio.
E questa di seguito la mia sceneggiatura per questa pagina. Il Color Fest ha una sola regola “tecnica”: la prima pagina di ogni storia è una splash page che fa anche da frontespizio.
Tav. 1
Splash page.
In alto il titolo: VOODOO CHILDREN
Rizzo - Bonaccorso
Campo medio dello studio di Dylan. Figura intera di Dylan seduto allo scrittoio. Ha uno sguardo comprensivo, è piegato in avanti e mani giunte, come in una posa comprensiva, come se stesse rassicurando/pregando la persona che ha di fronte... quindi NON nella solita posa. Alle sue spalle il galeone, sopra il quale si staglia il poster del Rocky Horror Picture Show. Puoi giocare un poco con la prospettiva leggermente dall’alto in modo che le labbrone sensuali e lo sfondo nero del poster abbiano un ruolo importante nella parte alta della vignetta: le riprenderemo nell’ultima pagina. Ti segnalo una foto fatta alla Dylan Dog Experience (ma possiamo spostare il poster e farlo più grande) e una pin-up di Bruno Brindisi per i dettagli della sedia: http://www.cravenroad7.it/download/desk/Scrivania1920x1080.jpg - http://1.bp.blogspot.com/-5OiqiMMTXCw/VgUKPHuX8MI/AAAAAAAACss/Nb_eViXBDiQ/s1600/DYD2.jpg
Dylan: ANNIE, tu non hai bisogno dei miei servizi…
Dylan: 2 …Dovresti chiamare la polizia…
Nella fascia bassa il titolo: VOODOO CHILDREN
Rizzo - Bonaccorso
La storia è stata poi pubblicata con il titolo I figli del Voodoo, credo per una certa ritrosia di Bonelli a usare titoli anglofoni, facendo ahimè perdere un po’ l’omaggio a Jimi Hendrix. Abbondano i dettagli sulla scenografia perché lo studio di Dylan è ben caratterizzato al di là delle interpretazioni date dai tanti autori. Volevamo fare qualcosa di coerente, anche se se ne sarebbe accorto solo lo 0,1% dei lettori. A proposito, questa è la vignetta all’inizio dell’ultima pagina che cito nella prima, dando circolarità alla storia.
Qui sotto ecco invece tavola 1 colorata da Stefania.
Devo dire che la storia è stata molto ben recepita. Certo, alcuni fan non hanno apprezzato l’inserimento di temi sociali così evidente (ma che fumetto hanno letto finora?) e altri non hanno amato lo stile di Lelio definendolo troppo cartoonistico (ma lo spirito del Color Fest è sperimentare). In generale le recensioni sono state molto positive, tipo qui, qui, qui e qui.
Tornerei a scrivere Dylan? È stata una faticaccia e devo ringraziare Roberto non solo per l’opportunità ma anche per l’aiuto in certi dialoghi (amato/odiato Groucho!!)… ma sì. Ci ho riprovato? Sì, ma un paio di soggetti non sono andati avanti per i motivi più banali: uno perché molto simile alla storia che una collega stava per sviluppare, l’altro perché - mi sono poi accorto mio malgrado - era molto simile a una serie Tv molto bella che avrebbe debuttato di lì a poco. Mi sono fermato prima ancora di proporla.
Ecco, almeno erano buone idee.
Una cosa che ho curato
Fine anno, tempo di bilanci e di classifiche, con “il meglio” dell’anno. Fumettologica stila la sua consueta hit parade delle migliori riedizioni pubblicate nell’ultimo mese e nell’elenco figura un classicone curato, con sudore e amore, dal sottoscritto e pubblicata a febbraio.
Si tratta di Maxwell il Gatto magico, raccolta integrale delle strisce scritte e disegnate da Alan Moore per il Northants Post, quotidiano della sua Northampton (GB), dall’agosto del 1979 all’ottobre del 1986.
Oggi Alan Moore è forse lo sceneggiatore di fumetti più amato e noto al mondo. Le trasposizioni sul grande schermo di sue opere come From Hell, V for Vendetta , Watchmen e persino La lega degli straordinari Gentlemen lo hanno reso popolare, ma per i fan dei fumetti Moore è un mito da quarant’anni, uno sceneggiatore impeccabile e meticoloso. È difficile oggi trovare un autore di fumetti (ma anche un regista o uno sceneggiatore di film o serie Tv) che non dica di essere stato influenzato da Alan Moore e dalle sue opere, in particolare quelle che negli anno 80 stravolsero canoni e ritmi del fumetto anglosassone.
Nel 1979, quando era ancora un giovane fricchettone squattrinato, Moore iniziò a scrivere e disegnare (quest'ultima cosa assai rara nel resto della sua carriera) per 10 £ a settimana una strip per il Northants Post. Inizialmente era destinata alla rubrica per bambini: presto in redazione si accorsero che non era il caso, e Maxwell the Magic Cat fu spostata nelle pagine “adulte”!
Maxwell è un gatto parlante precipitato sulla Terra (da chissà dove) cinico e a volte crudele, sarcastico e pungente. Le sue strip sono strapiene di metafumetto e critiche alla politica e alla società britanniche di quegli anni (e non solo britannica né solo di allora, direi). Queste strip furono pubblicate da Moore con lo pseudonimo di Jill De Rey, autrice mai esistita ma il cui nome gioca con quello di Gilles de Rey, nobile e militare francese del XV secolo che si narra abbia assassinato 140 bambini per pratiche occulte. Già da questo “gioco” amaro nella firma (in un fumetto per bambini!) si percepisce tutto l’humor nero e british che permea queste strip, che Moore firmò fino al 1986 quando, ormai acclamato scrittore di super eroi, abbandonò il giornale in contrasto con un editoriale omofobico. In quegli anni Moore era diventato famoso e ricercato oltreoceano grazie a Swamp Thing e proprio nel 1986 sarebbe iniziata la prima pubblicazione, in 12 albi, del rivoluzionario Watchmen.
È stato uno spasso (e una gran fatica) curare questa edizione filologica, finora inedita in Italia e l’unica disponibile al mondo dopo quella edita da Acme del 1986-7 e quella brasiliana di un paio di anni fa. Per fortuna il traduttore è Leonardo Rizzi, uno dei migliori d’Italia e uno che Moore lo conosce bene, avendone tradotto alcune delle opere più importanti e complesse (ad esempio Promethea). Abbiamo disseminato le strip di note per offrire maggiore contesto ma rimane un’opera godibile a prescindere.
Che siate amanti dei gatti o abbiate solo notato come si sentano superiori rispetto all’intero regno animale, Maxwell il Gatto Magico è il libro ideale per confermarlo. Se amate i cani, conferma ugualmente la vostra opinione. Se amate Alan Moore, dovreste già averlo in libreria.
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A rileggerci… e Viva l’Italia antifascista.
*pubblicatO a febbraio, e da Panini. Dovrei aprire una rubrica fissa di errata corrige