28 Un lavoro per ghermirli e nel buio incatenarli
Di un fumetto molto, molto bello, di due autori che hanno dimostrato che si può raccontare il reale senza retorica e che la lotta di classe non è finita (al più è cambiata)
Questa settimana ero indeciso se scrivere o no una puntata di Zona Negativa. Sono stanco, ho parecchio lavoro arretrato, non avevo ancora molto da annunciare e – soprattutto – gli incontri con gli studenti a Torino dei giorni scorsi meritano una giusta riflessione, non di pancia, certo non mentre lotto contro le mie stesse palpebre seduto lato finestrino. Però qualcosa di pancia l’ho scritta, adesso, inaspettatamente, dopo avere letto un gran bel fumetto.
Working Class Super Heroes
«Nessuno di loro dice di essere un operaio. Prima, i nostri padri erano orgogliosi di essere operai, di lavorare in fabbrica. Quando al sabato andavano in centro, tutti li guardavano con rispetto. Rispetto perché erano uniti, forti, e avevano lo sguardo fiero di chi lavorava per portava avanti una comunità. Che poteva essere la loro famiglia, ma anche l’intera città perché con i loro stipendi mandavano avanti anche i negozi e le attività commerciali. E quindi tutti li rispettavano, perché era eroico essere un operaio, perché sapevano che finché ci sarebbero stati loro le cose sarebbero andate bene per tutti.
Adesso ce ne vergogniamo. Preferiamo fare le commesse, i baristi, i rappresentanti… o meglio ancora lavorare per Amazon o roba simile… solo per poter dire… io faccio smart working, lavoro da casa, con le cuffie e la mia tazza di caffè americano di merda sulla scrivania.
Sfruttati, senza orari, senza diritti e senza tutele, ma non importa. Perché la parola operaio fa pensare a tute blu, occhiaie da turni e mani sporche. Niente di spendibile su Instagram.»
Nemici del popolo (Tunuè, 2024)
Esiste la letteratura working class, è assodato. Ma esiste il “fumetto working class”? Fatto da operai per operai? Direi di sì, no? L’Italia ne è grande produttrice, come ricorda Alberto Prunetti nell’introduzione di Nemici del popolo. Chi leggeva Diabolik, infilandolo in tasca nelle metropolitane milanesi con quel formato pensato apposta per quella comodità? Chi sognava e sogna di cavalcare con Tex? Chi legge invece oggi volumi cartonati e costosi, quando ogni spesa a fine mese, specie per l’intrattenimento o i vizi, va soppesata? L’altra domanda, sarebbe: esistono autori dalla working class?
Certo, in un mestiere come questo è facile pensare alla “classe operaia dei fumettisti”, quelli che macinano tavole dopo tavole pregando per il successo e nelle royalties, un annuale anticipo ridicolo dopo l’altro. O quelli che si impantanano in una gavetta interminabile e sperano nell’occasionale best seller, con contratti molto meno romantici di quanto si penserebbe per la professione. O quelli che vengono stritolati dalle scadenze dei periodici, senza la certezza di un impegno indeterminato ma con ritmi da macchine. Ma non intendo quelli.
Intendo quegli autori che incastrano il lavoro creativo tra i turni, nei momenti di tregua, durante la mensa, stanchezza permettendo. Esistono, eh. Molti sono stritolati dalla precarietà di due lavori. Molti si destreggiano tra le graduatorie del Ministero dell’istruzione o fanno turni massacranti in bar e ristoranti, o ancora non possono sganciarsi dalle attività di famiglia. Oppure, ancora, erano e/o sono operai in fabbrica. Non privilegiati laureati in lettere/comunicazione/filosofia (come il sottoscritto) grazie ai sacrifici della generazione precedente, ma persone che il fumetto (o la musica, o la poesia, o uno sport) l’ha amato tanto da saperlo incastrare come secondo lavoro nonostante la stanchezza e gli sconforti.

Quando, una vita fa, Emiliano Pagani mi disse che lavorava in fabbrica, credo che la prima cosa che mi venne in mente fu “E come fai a trovare il tempo per scrivere?”. Domanda da privilegiato, appunto. Il tempo, Emiliano, se l’è cercato, trovato e se necessario costruito. Ne è nato, tra le altre cose, soprattutto Don Zaucker, con Daniele Caluri, e creatura e cocreatore non necessitano di presentazioni. E nel resto del tempo, quello del “lavoro vero”, ne sono certo, senza manco accorgersene Emiliano ha raccolto il materiale per quello che è uno dei fumetti più belli che abbia mai letto.
A Emiliano non piacciono le esagerazioni e i paroloni, e spesso ci scherziamo su, ma gliel’ho scritto appena chiuso Nemici del popolo. Acquistato ieri al Salone del libro, letto in aereo, posato in borsa con gli occhi lucidi. È un fumetto potentissimo, con più e più strati e incroci (infatti credo che lo rileggerò presto), disegnato da un Vincenzo Bizzarri eccezionale. Un tratto grottesco ed elegante, molto versatile ma sempre coerente come si scopre attraverso una geniale sottotrama che non voglio spoilerare. C’è un’atmosfera cupa, sembra di avvicinarsi a Mordor: non è un caso che la torre della fabbrica, in copertina, incomba come l’occhio di Sauron. La luce arriva alla fine, commuovendo. E il segno di Bizzarri mi ha ricordato il mio adorato Larcenet, a proposito di complimenti forse esagerati
Consiglio spassionatamente Nemici del popolo, insomma. E non perché Emiliano è un amico e un autore che ammiro, ma perché vi farete un favore. Non per lui, ma per voi, insomma.
Nemici del popolo è appena uscito per Tunuè (che azzecca l’ennesima pubblicazione), costa 17,50. Una cifra che forse per qualcuno peserà, visto quanto scrivevo, ma è una carezza e una strigliata di cui c’era bisogno, se potete.
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A rileggerci,
Marco