57 | Contro l'editoria a pagamento e gli orsetti sputafuoco da Venere
Dei dati recenti dell'Aie e come credo vadano interpretati, di quello che emerge su chi effettivamente riempie quei dati e gli scaffali virtuali, di un'intervista recente e un appuntamento a Trapani
Sono giornate piene e avrei poco tempo per commentare a dovere le ultime notizie dal magico mondo dell’editoria. Ma…
I piedi per terra
L’ultimo rapporto dell’Aie segnala un calo generale, specie nel settore che mi sta più a cuore, i fumetti, e questo sembra aver spaventato un po’ tutti, dalle mie parti. Da tempo, però, si ricorda che la grande abbuffata durante e post-Covid non poteva non avere un ridimensionamento. Crescite fino al 28% (come tra il 2020 e il 2021) e fenomeni come un improvviso e forse imprevisto boom dei manga1 non potevano che essere considerati delle “bolle” pronte a riassestarsi, complice il ritorno di altre abitudini di spesa (abbiamo ripreso a uscire, no?) e l’aumento dei prezzi dei libri e del costo della vita in generale. Peraltro, è una tendenza generalizzata che si era avvertita già l’anno scorso, non solo in Italia. Mettiamoci le ultime politiche del governo nostrano, con i ridimensionamenti dei bonus per i più giovani (che vanno oltre il cambiamento del nome in qualcosa di più “italico”) e i tagli alle biblioteche, e il mezzo disastro è servito. E sono cali che, ovviamente, colpiscono in maniera più forte gli editori più piccoli.2
Non tira una bella aria, sì, ma non tira una bella aria da qualche decennio. Ed è inutile cercare confronti con quanto accade Oltralpe: altre mentalità, altri fondi, e come dicevamo se Atene piange, Sparta non ride. Non so quale sia la soluzione, specie con gli interlocutori istituzionali che ci ritroviamo, ma quello che mi sembra più interessante (e che non stupisce) è intanto capire quanto emerge su chi pubblica.
Pagare per lavorare, lavorare per vivere
Nei giorni scorsi, estrapolandola dal rapporto Aie, Giulio Mozzi ha segnalato su FB la classifica di quali editori abbiano pubblicato più volumi. E a me vengono i brividi.
Trovate infatti ai primissimi posti numerosi editori a pagamento: si tratta di realtà che – sostanzialmente – chiedono un contributo in varia forma all’autore (solitamente l’acquisto delle stesse copie) per pubblicare i suoi libri. Semplifico ancora? L’editoria a pagamento è una cinica struttura che supporta la vanità3 di chi vuole pubblicare un libro senza passare dalle forche caudine della gavetta, dell’editing, del confronto con un catalogo e una direzione editoriale. A meno che non si escluda la lettura da parte del proprio fidanzato/a, miglior amico/a, genitore, vicino di casa che solitamente vi ritiene migliore di Faletti.
Ma l’editoria a pagamento ribalta il ruolo perché scrivere è – anche – un mestiere e solitamente è il datore di lavoro/committente a pagare, non chi produce.4
Semplifico ancora? È come se andassi dal panettiere e invece di pagarlo io per i suoi ottimi panini, gli dicessi “non te li pago io, me li paghi tu, ma avrai grande visibilità”.
“Ma che male c’è?”
Senza giri di parole, credo che l’editoria a pagamento sia uno dei tanti mali del settore. “Avvelena” il mercato con i dati di cui sopra, falsificandoli. All’atto pratico, intasa gli scaffali e gli spazi per gli appuntamenti (specie delle librerie indipendenti, che sono spesso costrette a fare buon viso a cattivo gioco davanti il librino di poesie dialettali o il pamphlet di sfoghi politici), togliendo spazio alla vera filiera. Rende più complicato agli scrittori “veri” far capire il valore del proprio lavoro, anche economicamente. Non avete idea quante volte, invitato a presentazioni e rassegne, mi viene chiesto “porti tu i libri?”. E devo spiegare che no, io non vendo libri, quello lo fa l’editore tramite il libraio passando per il distributore. Oppure che no, non posso viaggiare a mie spese per soddisfare la mia vanità, sperando in un applauso e una manciata di autografi.
Ah, e a contribuire all’abbassamento della qualità – con ciò che ne consegue per il bene della lingua italiana, del buon gusto e della cultura generale – oggi fioccano libri generati dall’AI, “scritti” con ChatGPT e con copertine “realizzate” da Midjourney.
“Beh, la fai facile tu, tu già scrivi per editori “veri””
Allora facciamo così: pubblica a tue spese. Vai da una tipografia, una copisteria un amanuense e investi quei tot € che daresti a un editore a pagamento, anzi meno. Stampa un certo numero di copie, prova a venderle online, sui tuoi canali social, nelle fiere locali, inviale alla stampa. È un investimento, ma almeno decidi tu i termini, le quantità, la spesa. Il tuo libro potrebbe venire notato e magari criticato o – chissà – migliorato dai lettori.
Magari un’altra volta ti racconto come ho iniziato io: posso anticiparti, però, che non ho mai pagato per lavorare.
“E allora chi pubblicherà il mio romanzo erotico/raccolta di poesie/diario di viaggio da Domodossola?”
Tu stesso. Vedi sopra. Il rischio imprenditoriale sarà tutto tuo, però. E i numeri non saranno quelli di quella classifica lì su.
“Ma tanto a che mi serve l’editore?”
Non ti “serve” solo per stampare: ti “serve”, banalmente, anche solo per dare una direzione, una coerenza, una qualità alla tua scrittura (o ai tuoi disegni). Prima dell’editore ti serve un editor5 e se vuoi autopubblicarti, sappi che ci sono tanti editor e correttori di bozze freelance che, dietro compenso, possono revisionare il tuo testo.
“Ma c’è un grosso complotto plutocattogiudaico per cui nessuno vuole pubblicarmi.”
Anche l’editore migliore può prendere delle cantonate, ma ti assicuro, proprio a meno che tu non sia già qualcuno, difficile che una certa casa editrice ti rifiuti a prescindere perché gli stai sul cazzo, eh. Forse l’editore non ha abbastanza personale per leggere tutti i manoscritti che riceve, forse il tuo romanzo di fantascienza su orsetti sputafuoco da Venere non rientra nella linea editoriale con quell’editore di poesie di autori mediorientali, ma a me la tua pare tanto una scusa per evitare i rifiuti. I rifiuti in questo settore arrivano, anche dopo vent’anni di carriera (numero che non dico a caso: anche a me), e se vuoi scrivere davvero ci sono altre vie6. Basta non farsi fregare.
“Ma io scrivo per me stesso/a”.
E fai bene. È bellissimo, è terapeutico, aiuta anche a mettere in ordine idee e pensieri. Non sei obbligato a far uscire dal tuo computer o il tuo quaderno quanto scrivi. Nel momento in cui lo fai, non è più solo per te stesso ma decidi di esporti agli altri. Una cosa è dipingere e appendere i propri i quadri in salotto, un’altra e farlo per poi cercare di esporli in una galleria.
“Ma il mio libro pubblicato con PagamiTuEdizioni è da Mondadori!”
No, amico, PagamiTuEdizioni al più avrà un accordo di distribuzione con certe catene librarie (sigh sob). Nel senso che il tuo libro potrà essere ordinato, se richiesto. Tuo cugino che sta a Bolzano potrà entrare nel negozio di quella catena, cercarlo tra gli scaffali, chiederlo all’editore e – probabilmente dopo un tot di settimane – arriverà anche lì. No, non sei pubblicato da Mondadori e i tuoi libri non sono sugli scaffali di Mondadori a prescindere.
“Ma io scrivo ben cinque libri al mese e faccio pure le copertine, non avrei altro modo di pubblicarli!”
Cara Ai, l’ho capito che sei tu, levati dai coglioni.
Un prodotto locale
A proposito di vanità, la rete trapanese Telesud sta curando degli approfondimenti sui talenti locali. In assenza di un vero talento da parte mia mi sono messo a blaterare ai microfoni di Francesco Tarantino a proposito delle mie ultime pubblicazioni, incluse le mie storie di Spider-Man, e ho dedicato gli ultimi sessanta secondi a qualche frecciatina vesto le istituzioni, perché ogni tanto ci vuole.
Testimonianze di Salvezza
Rimanendo in città, domani (sabato) vi aspetto per questo evento organizzato dal Fai Trapani al Museo S. Rocco. Sarò insieme a Francesco Bellina e Rosalba Sciacca per confrontarci sulle nostre esperienze nei soccorsi in mare e le relative testimonianze.
E dire che non avevo tempo per scrivere papelli, invece eccoci qua7. In chiusura non ho nulla contro gli orsetti sputafuoco da Venere a patto che se ne vadano da lì e riconsegnino Venere ai veneziani.
Alla prossima,
– Marco
PS: Sì, è già passato un anno da quando se n’è andato Alfredo Castelli, pochi giorni da quando ci ha lasciati Gianfranco Manfredi, e quando ho scritto queste righe qui su ho pensato molto a loro due e a un’editoria che non c’è più.
Che trainava con sé tutto il mercato, insieme ai libri di Zerocalcare e (negli ultimi anni) PeraToons.
Un’analisi bella e approfondita l’ha scritta, manco a dirlo, Loredana Lipperini.
Non a caso nel mondo anglosassone si chiama Vanity publishing.
Aggiungo: queste realtà sono spesso legittimate dalle principali fiere del settore con spazi espositivi, cosa che non mi spiegherò mai.
E se non sai che differenza faccia quella vocale mancante, cambia aspirazioni.
Guarda qui su Substack, ad esempio.
E non ho pagato nessuno!