64 | Partigiani Stellari
Di cosa ho fatto in queste settimane, di cosa vi aspetta al Trapani Comix, di Andor, Rogue One e di come Star Wars stia raccontando l'attualità meglio di molti altri. Ancora una volta.
Non ci leggiamo su queste colonne virtuali da un mese, lo so.
Sono stato impegnato, come potrete immaginare, con l’organizzazione dell’imminente Trapani Comix. Se un anno fa lo ero nel ruolo di responsabile di una singola area, la “promozione” nel direttivo ha fagocitato buona parte del poco tempo libero rimasto. Se ci mettiamo anche la cura di ben cinque mostre (in particolare Heroes, di cui sono orgogliosissimo), il progetto Comix in Vetrina e il mio “normale” lavoro per Panini1, è un miracolo che io stia trovando qualche minuto per questo aggiornamento.
Un anno fa vi scrivevo di come stessimo potenziando il lato “comics” del festival. Il progetto va avanti anche quest’anno, come si evince dai nomi coinvolti e dalla portata dell’offerta culturale. Ve ne parliamo in questa intervista a LoSpazioBianco, da quest’anno prestigioso media partner della manifestazione, e lo potete vedere con i vostri occhi dal programma appena pubblicato.
Però avevo un’urgenza, frutto di qualche settimana di appunti, riflessioni ed esperienze. Ruotano intorno a una serie TV, passata paradossalmente in sordina rispetto a molte altre, ma che merita qualche parola da parte di chi è appassionato come me… e tiene un occhio sempre aperto sull’attualità.
È un post lungo, vi avviso: ma anche stavolta sto cercando di fare con voi che pazientemente mi leggete un ragionamento, che alla fine ci riconduce a un tema ampio e complesso.
Una premessa al prequel
È un buon momento per la sci-fi “impegnata” sulle piattaforme. Su Netflix è finalmente arrivato El Eternauta, adattamento di uno dei fumetti più belli mai realizzati, quell’Eternauta dello scrittore desaparecido Hector Oesterheld e del disegnatore Francisco Solano Lopez. È una allegoria delle dittature e delle paure del futuro e delle guerre, come sa già chi ha letto il capolavoro argentino. Sulla stessa piattaforma c’è una nuova stagione di Black Mirror: mi pare da un paio di puntate che sia quasi tornata agli antichi fasti, sebbene la contemporaneità offra sempre la concorrenza più ingombrante alle idee di Charlie Brooker. Su HBO (in Italia su Sky e NOW) c’è la seconda stagione di The Last of Us: avendo giocato e amato il videogame, attendo di collezionare tutte le puntate per vederla.
Su Disney+, invece, c’è Andor. Serie che a “spiegarla” sembra complicata, ma ci provo per i pochi profani che sono arrivati a leggere fin qui. Una premessa: Star Wars è da sempre anche un’opera con un profondo sottotesto politico. Ce lo ricordano di recente in questo scambio di tweet il social media manager dell’account ufficiale e un paio di fan:
Ora un passo indietro: 1977, esce nelle sale Star Wars (Guerre Stellari) allora chiamato semplicemente così. Solo successivamente si sarebbe incastonato, con il titolo A New Hope, in una macrotrama che lo vede come quarto episodio di nove (compresi i tre prequel usciti tra il 1999 e il 2005 e i tre recenti sequel).
In quel film (spoiler, se avete vissuto su Naboo) un gruppo scalmanato di ribelli cenciosi, tra cui un giovane campagnolo che scopre di essere in possesso di poteri grazie alla misteriosa “Forza” e destinato a diventare “Cavaliere Jedi”, distrugge la super arma del malvagio Impero. Per riuscire in questa missione servono due cose:
un MacGuffin, cioè i “piani”2 che rivelano il punto debole di quella macchina di morte a forma di pianeta, evocativamente chiamata in Italia Morte Nera (in originale Death Star),
un deus ex machina, cioè la connessione del giovane Jedi chiamato Luke Skywalker alla cosiddetta Forza, che gli permette di centrare il succitato punto debole dove gli altri falliscono.
C’è una frase che nel 1977 e in tutte le visioni successive, per molti, sarebbe rimasta lì. Appare in quel testo azzurro su sfondo stellato che scorre verso l’alto, all’inizio del film:
“Rebel spaceships, striking from a hidden base, have won their first victory against the evil Galactic Empire. During the battle, Rebel spies managed to steal secret plans to the Empire’s ultimate weapon, the DEATH STAR.”
John Knoll, mago degli effetti speciali di Industrial Light & Magic (la compagnia nata proprio grazie a Star Wars), Premio Oscar3 e tra le altre cose co-inventore di Photoshop, non si era dimenticato di quella frase. Propose una serie basata proprio su quella missione mai narrata a Kathleen Kennedy, la grande capa del franchise di Star Wars. Chi erano questi ribelli che avevano rubato i piani della Morte Nera?
Rogue One
Il risultato finale, dopo rimaneggiamenti, revisioni, cambiamenti, è Rogue One: A Star Wars Story, da tutti acclamato come una delle migliori produzioni legate a questo mondo enormemente sfaccettato.
Sì, perché l’universo ideato da George Lucas può essere tante cose: giocattoli, giochi da tavola e di ruolo, videogiochi, romanzi, fumetti, cartoni animati per i target più diversi e disparati (inclusi i piccolissimi), ovviamente film. E tra questi film, anche uno dove c’è lo zampino importante di Tony Gilroy, sceneggiatore/regista dietro il successo della saga di Bourne. Che in Rogue One ha avuto l’onere di rimaneggiare quanto già prodotto e – per una volta, in questi casi – il risultato è un gran bel film. Il finale, tra l’altro si collega direttamente a A New Hope, come se fosse un’unica storia (e lo è). Rogue One è un film di Star Wars dove ci sono le astronavi, c’è la Forza (ma niente spade laser), c’è tensione tra le fazioni degli stessi ribelli, ci sono i droidi e gli stormtrooper, ma c’è anche molta disperazione, un lieto fine che non è un lieto fine, e dei protagonisti non esattamente limpidi.
Tra questi c’era Cassian Andor, spia dal grilletto facile per conto dei ribelli e nemico giurato dell’Impero, interpretato da quel Diego Luna fino a quel momento noto per lo più per Narcos: Mexico.
Hai detto Andor?
La continuity di Star Wars è complessa, per ragioni anche commerciali: difficile districarsi nella marea di contenuti prodotti, scartare quello che è stato scartato dopo l’acquisto del franchise da parte di Disney, fare cernite tra cosa è “canone” e cosa non lo è. Orde di nerd ci si scervellano per mesi, anni o decenni, a me interessa relativamente meno e preferisco godermi i prodotti. C’è una regola, tendenzialmente: ciò che avviene nei film o nelle serie TV soppianta quanto raccontato nei fumetti o nei romanzi4, in quella che comunemente si chiama “retcon”. Con Rogue One non si è fatto nulla del genere: si è semplicemente realizzato un prequel. E anche Rogue One, a sua volta, ha un prequel. Si chiama, dicevamo, Andor.
Composta da due sole stagioni, la prima andata in onda nel 2023 e l’altra appena conclusasi, Andor vede il ritorno di Tony Gilroy alle redini di una storia starwarsiana. È un prequel di Rogue One nel senso che ci spiega origini, percorso e motivazioni di quel Cassian Andor che aveva esordito nel film diretto da Gareth Edwards. Lascio a voi il piacere di godervela, evitando il più possible spoiler, ma provando a fare un discorso più generale.
Andor parla di come nascono le dittature, di come si è spesso inermi davanti a quelle ascese e di come un pugno di disperati può provare a reagire.
In Andor non ci sono Jedi, non c’è la Forza (salvo marginalmente e vista dai protagonisti come poco più che superstizione), le corse in astronave sono ridotte al minimo. Per quanto si tratti di fantascienza, è “realistica”. C’è anche una scelta importante per la lore di Star Wars: gli alieni sono quasi del tutto assenti e se presenti ridotti a comparse o poco più. Anche i droidi, solitamente spalla comica o più di recente visti come arma, sono visti nella quotidiana più come “strumenti”: il droide medico, il droide poliziotto, persino il droide dj. E gli stormtrooper, i celebri soldati con l’armatura bianca, di tanto in tanto centrano l’obiettivo.
C’è poi una piccola scena, nella penultima puntata, che secondo me è la summa di tutto l’approccio scelto da Tony Gilroy come showrunner: c’è una truppa di Stormtrooper pronti all’assalto, in uno dei momenti più tesi della serie. Hanno la solita armatura bianca ma non indossano quell’elmo iconico che li rende “più fantascientifici”, solo un berretto e degli occhialoni militaresco. E il regista Alonso Ruizpalacios si sofferma per qualche secondo sugli stivali di questi soldati: sono sporchi, ammaccati, usati. Non brillano come quelli visti sul grande schermo: sono “veri”.
Interludio: la Lezione dell’Elefante
La settimana scorsa ho incontrato diverse classi delle medie dell’istituto Sturzo di Marsala. Avevano letto La lezione dell’elefante, mio romanzo edito da Navarra Editore nel maledetto 2020. Un libro pensato anche per le scuole ma azzoppato dalla pandemia proprio nei mesi dell’uscita. Per fortuna a qualche insegnate è piaciuto e l’ha proposto agli studenti. Il romanzo è ambientato durante l’ascesa dei jihadisti di Ansar Dine in Mali.
Una domanda che mi viene fatta spesso dai ragazzi parlando di questo libro o di Salvezza è: “Come è possibile?” Come è possibile che una situazione “normale” venga trasformata al punto tale che le statue vengono abbattute dall’oggi al domani, i libri bruciati, le donne costrette a coprirsi e messe ai margini della società, la musica e gli sport vietati? In sostanza: come è possibile che si arrivi presto a una dittatura oscurantista?
Difficile spiegarlo a dei ragazzi e delle ragazze ancora più lontani di me dagli anni in cui la dittatura l’abbiamo vissuta nel nostro paese. Anche in questo caso ci viene incontro Star Wars. In Andor si dedica molto spazio a raccontare come le libertà vengano meno con l’ascesa dell’impero e che lo stesso si presenti ai cittadini come un “salvatore”.
Con le dittature avviene sempre così: ovviamente non si presentano mai come tali, anzi, come liberatori. Vengono a “liberarci” da chi le ha precedute, a offrire di meglio, a proteggerci. E per far ciò ci convincono a rinunciare ai nostri diritti sempre più, per darci più sicurezza, per “farci dormire con le porte aperte”, mettendo nel frattempo a tacere con la violenza chi alza troppo la testa, fino a trasformare la sensazione di sicurezza in paura o complicità. La mia è una semplificazione banale di secoli di studi sociologici e storici… ma torniamo a Star Wars.
I have friends everywhere
In Andor compare non solo l’antieroe eponimo, ma anche un mucchio di personaggi comparsi in Rogue One (anche per pochi minuti) o che facevano già parte della mitologia di Guerre Stellari, come Mon Mothma, la senatrice che si è ribellata all’impero e si è schierata con i rivoltosi, con una straordinaria e shakespeariana Genevieve O’Reilly5. Una curiosità: Caroline Blakiston interpretò Mon Mothma in Il ritorno dello Jedi ed era uno dei soli quattro personaggi femminili con dei dialoghi in tutti e tre i film della trilogia originale. Ne abbiamo fatto di passi avanti anche in una galassia lontana lontana, per fortuna.
In Andor c’è anche un personaggio mai visto prima, il leader ribelle Luthen Rael, interpretato magistralmente da Stellan Skarsgård: se non fosse stato un prodotto legato a Star Wars, la sua interpretazione gli sarebbe valsa la stessa attenzione della critica che abbiamo visto dopo lo straordinario Chernobyl.
E poi ci sono due antagonisti come Dedra Meero (Denise Gough), ufficiale dell’ISB (che è un incrocio tra la Cia e l’SS nazista al soldo dell’Impero) e l’ambizioso Syril Karn (Kyle Soller). Sono così dolcemente spregevoli e umanamente fallibili – quindi scritti così divinamente in tutto il loro percorso – che non si può non volergli bene. Il vero villain della serie, anche quando non si vede, è il direttore Orson Krennic, già presente in Rogue One, che unisce in sé le qualità più antipatiche di un generale con quelle di un politico. E che ci ricorda che grande attore sia Ben Mendelsohn.
A questi Luthen Rael e Mon Mothma, però, sono affidati alcuni dei monologhi più belli, importanti e ben scritti di tutta la serie, come quello, da brividi, di Skarsgård nella prima stagione (sotto in inglese, a questo link in italiano):
In questa seconda stagione, è Mon Mothma a regalarci alcuni dei dialoghi più intensi. E ad ascoltarli adesso, non si può non pensare all’attualità.
Propaganda Stellare
Buona parte della seconda stagione (scusate il piccolo spoiler) ruota intorno al tema della propaganda e della dittatura. Il destino di un pianeta pacifico viene manipolato per gli interessi dell’Impero, al prezzo della libertà e delle vite di molti. Per fare ciò, l’Impero organizza per tempo una vera e propria campagna diffamatoria ai danni dei suoi abitanti, in crescendo: gli abitanti di Ghorman6 sono spocchiosi, si sentono migliori degli altri, sono pericolosi, sono terroristi, vanno annientati. Complice una stampa compiacente, nel resto dell’Impero tra fake news e pregiudizi si giustifica qualunque azione ai danni di Ghorman.
A Ghorman esiste una resistenza. È divisa in fazioni che litigano fra loro, un po’ come in Brian di Nazareth dei Monty Python. Hanno l’accento francese e anche l’abbigliamento vuole strizzare l’occhio alla Francia: insomma, sono i partigiani maquis della Francia occupata di Vichy, più di così non si poteva ammiccare. In Andor parlano una lingua inventata ma è qui che avviene la magia, quella che ci ricorda che la buona scrittura parla qualsiasi lingua. Ci sono dei dialoghi commoventi, delle canzoni, delle grida in quella lingua aliena che emozionano ugualmente, in scene intensissime dove forse il non comprendere esattamente le parole aggiunge più doloroso straniamento.
Quando, in seguito, il governo imperiale cerca di coprire quanto avvenuto, una sola voce si erge pubblicamente contraria. L’opera di convincimento dell’opinione pubblica aveva funzionato. Non so se fosse voluto – oppure sono influenzato dalla recente visione di M - Il figlio del secolo – ma ho pensato che gli autori si siano ispirati a Giacomo Matteotti. Nell’episodio 9 della seconda stagione, infatti, Mon Mothma si rivolge a un’aula sorda e grigia, prona all’imperatore:
“The distance between what is said and what is known to be true has become an abyss. Of all the things at risk, the loss of an objective reality is perhaps the most dangerous. The death of truth is the ultimate victory of evil."
“La morte della verità è la vittoria definitiva del male.”
Tante volte in questa newsletter abbiamo parlato di fake news, di come vengano utilizzate (anche grazie all’intelligenza artificiale) per condurre campagne d’odio. Non avrei saputo sintetizzare meglio di quanto scritto dagli autori di Andor quello che rappresentano certe politiche.
La vittoria dei Sith
L’Universo di Star Wars ruota intorno all’eterna lotta tra bene e male: i Jedi e i Sith. A volte la lotta è anche interiore: un Jedi può essere corrotto e passare dalla parte del male. I Sith hanno tutti una cosa in comune: la loro spada laser è rossa. Il 4 maggio, lo Star Wars Day7, Donald Trump ha pubblicato sui profili ufficiali della Casa Bianca questa immagine:
La spada è rossa.
Secondo voi lo sa? Ammette di essere un villain? Gliene fregava niente? Secondo voi è normale che il canale ufficiale della presidenza degli Stati Uniti pubblichi altra robaccia fatta con l’IA? Le risposte forse sono più semplici di quanto creda. E al di là delle ipotesi, il discorso di Mon Mothma si può applicare benissimo a tante delle uscite di Trump, inclusa questa, gravissima ed esemplare. Però tutto questo mi ha portato a un’altra riflessione che ci riconduce ad Andor.
Un mondo senza jedi
Dicevamo, in Andor non ci sono i Jedi. Roteando le spade laser, respingerebbero i colpi di blaster degli squadroni imperiali. Non si ritirerebbero dagli scontri, giungerebbero come la cavalleria quando necessario, userebbero la telepatia nelle loro missioni di spionaggio.
In A New Hope, un Jedi inesperto, tale Luke Skywalker, distruggeva la Morte Nera anche grazie alla Forza e un breve addestramento. Senza di lui, sarebbe stato possibile?
In Andor non ci sono Jedi: per due stagioni fioccano le sconfitte, i sacrifici, le perdite da parte della ribellione. Andor (e Rogue One) non hanno dei veri lieti fine, anche perché mancano i tizi in saio con i super poteri. Il peso della loro assenza ne sottolinea l’importanza nel mondo di Star Wars ma è anche un monito per noi: qui, nella vita reale, non ci sono i Jedi a salvarci.
Ci salviamo da soli, oppure… niente, bisogna rinunciare alla speranza. Ma arrendersi, ignorare i segnali o voltarsi dall’altra parte significherebbe darla vinta a certuni.
Rebellions are built on hope, dopotutto.
Ci vediamo al Trapani Comix dal 23 al 25 maggio, per chi vorrà o potrà. Mi auguro che vi divertiate, che vada tutto bene e che il festival continui a crescere. Spero di riprendermi presto per tornare a scrivere con puntualità su Zona Negativa.
A rileggerci!
– Marco
In particolare su due progetti enormi che spero di potervi annunciare presto…
Leggasi lo “schema tecnico”.
Per gli effetti speciali di Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma.
È avvenuto, per esempio, con le origini del jedi Kanan Jarrus, grande protagonista della serie animata Rebels (ambientata nello stesso periodo di Andor e alla quale c’è almeno un richiamo). Quanto narrato in un’altra serie animata, The Bad Batch, ha soppiantato quello che era stato raccontato anni prima in un fumetto edito da Marvel.
Che le aveva già prestato la voce in varie serie animata. Un aneddoto: Lucas stesso l’aveva scelta per Revenge of the Sith, il terzo capitolo della trilogia prequel, ma le sue scene vennero tagliate.
Che in alcune riprese è Colico, in provincia di Lecco (non è una battuta).
Data nata per esigenze commerciali dal gioco di parole May the Fourth/May the Force ma divenuta per gli appassionati vera e propria celebrazione.