21 Ritorno agli anni Novanta
Dell'anniversario della morte di Ilaria Alpi e di un'intervista in proposito, dell'effetto nostalgia (o He-Man?), del Team America, della nuova serie degli X-Men su Disney+ e di come spreco denaro
Prima di affrontare temi più leggeri, pur rimanendo negli anni 90, segnalo che questa settimana è ricorso il trentesimo anniversario dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin uccisi a Mogadiscio il 20 marzo del 1994.
A loro ho dedicato il mio primo fumetto “lungo”, la graphic novel Ilaria Alpi - Il prezzo della verità, uscita in prima edizione nell’ormai lontano 2008 per BeccoGiallo Editore e disegnata magistralmente da Francesco Ripoli.
Dall’omicidio sono passati trent’anni ma rimangono ancora molti punti oscuri, il depistaggio continua, le menzogne si rincorrono. E la storia, la tenacia, la professionalità di Ilaria e Mirano rimangono un esempio con pochi paragoni, l'aspirazione a un giornalismo migliore.
Damiano D'Agostino mi ha intervistato in proposito su The Hollywood Reporter Roma. Trovate l’intervista qui e ovviamente si parla anche di graphic journalism e giornalismo in generale.
Nell’intervista racconto anche delle esperienze nelle scuole intorno a questo libro (e si potrebbe dire qualcosa di simile anche rispetto a Peppino Impastato1):
Uno degli aspetti che più mi confortano è che certi ragazzi non riescono a credere che siano successe determinate cose, soprattutto in termini di depistaggio. Bisogna spiegar loro l’argomento nella maniera più onesta possibile. Anche per instillare in loro non tanto una sorta di animo di ribellione, quanto il saper mettere in discussione il potere costituito, per pensare a un progresso e a un cambiamento. Il nostro paese deve molto a certe rivoluzioni che sono partite da una forte spinta dal basso.
E il progresso sarà inevitabile anche per il mix etnico che ci sarà nelle prossime generazioni. I ragazzi di seconda e terza generazione porteranno un cambiamento. Alla fine, parlare di questi temi, che mettono in difficoltà l’istituzione, serve a spiegare che non bisogna mai fermarsi al primo livello, che bisogna studiare e mettere in discussione.
L’effetto He-Man
Negli scorsi giorni ho letto L’effetto He-Man di Box Brown (Bao Publishing), attratto dall’autore (di cui avevo già apprezzato la biografia a fumetti di André the Giant edita anni fa da Panini 9L) e dal sottotitolo: “Come i produttori americani di giocattoli ti vendono i ricordi della tua infanzia”.
È ormai risaputo che periodicamente certe cose tornano di moda.. o, più che altro, vengono ri-propinate, infiocchettate, impreziosite e non sempre adeguate per un pubblico che nel frattempo è cresciuto: il nostro potere d’acquisto da adulti è maggiore rispetto a quando eravamo bambini e non dobbiamo più chiedere il permesso ai genitori (di solito). Non è un caso che queste mode tornino più prepotentemente dopo circa 30 anni, quando quei bambini sono ormai adulti: negli anni 10 sono stati ripescati in vari ambiti (collezionismo, fumetti, film, etc.) le produzioni degli anni 80, negli anni 20 pare tocchi a quelle degli anni 90.
Ed è ironico che scriva queste righe circondato da fumetti (la grande costante della mia vita) e Lego, questi ultimi una passione che avevo da bambino e che ho ripreso un po’ di anni fa cominciando a collezionare pezzi moderni, specie quelli con una chiave più vintage.
L’effetto He-Man è un saggio a fumetti come ci ha abituato l’autore, molto approfondito, godibile e argomentato2. Include alcuni aneddoti molto noti, come la chiave del successo di George Lucas: come forse saprete, rinunciò a parte dei profitti dai primi Star Wars in cambio di una percentuale sul merchandising, scelta che fece la sua fortuna. Meno noti certi retroscena politici raccontati da Brown con esemplare sintesi. Manca purtroppo all’elenco di aneddoti la storia del famigerato Team America, una delle robe più sfigate mai prodotte dal mondo dell’intrattenimento e per questo esemplare.
Aspe’, un inciso super nerd sul Team America:
I lettori più attenti e anziani li ricorderanno per delle apparizioni nelle prime storie dei New Mutants, ma i retroscena sono ancora più interessanti. In sostanza, il Team America era basato su una linea di giocattoli della Ideal Toys Company. Erano dei pupazzi legati a delle moto da far correre e saltare… e in sostanza non erano altro che vecchi giocattoli di Even Knievel, lo stunt-man di successo degli anni 70, ridipinti e riconfezionati. Nel 1977 Knievel era stato condannato per percosse e la Ideal si era trovata sul groppone interi magazzini del giocattolo basato sui suoi stunt, tra i giochi di maggiore successo tra i maschietti negli anni 70 come ricordato anche da Box Brown in L’effetto He-Man.
L’azienda li rimise in circolazione con nuovi colori e confezioni e nel 1982 affidò alla Marvel Comics il compito di creare un background per quei personaggi attraverso i fumetti, come fatto dallo stesso editore con G.I. Joe, Transformers o come fatto con i fumetti di He-Man allegati ai pupazzi. Marvel, alla ricerca di un nuovo successo ispirato ai giocattoli, si accollò il compito e produsse una serie di dodici numeri intitolata Team America. I cinque motociclisti protagonisti erano dei mutanti (!) a causa degli esperimenti compiuti dall’Hydra sulle loro mamme (!). Avevano il potere di creare, unendo le forze, dal nulla un sesto membro del gruppo, il Marauder, con le abilità degli altri cinque (!).
Eh sì, vi chiederete come mai non ebbero grande successo…
Figli degli anni 80 senza essere fratelli
L’effetto He-Man è insomma un ottimo libro, segnalo solo che il titolo può apparire ingannevole. Il racconto dell’uso dell’effetto nostalgia come uno dei motori del capitalismo odierno, infatti, occupa solo una piccola parte (quella finale) del libro.
Ma è giusto che sia così così: prima bisogna capire come un intreccio tra politica, progressi della società e marketing abbia portato alla nascita di certe campagne pubblicitarie, di giocattoli ossessivamente studiati a tavolino, di fallimenti e successi, di prodotti invasivamente transmediali in maniera pionieristica quanto aggressiva (i Transformers negli anni 80 erano presenti nei fumetti, nei giocattoli, nei videogiochi, al cinema e in TV: oggi è normale, ieri meno). Solo allora si può spiegare come quei giocattoli e quei personaggi siano rimasti insinuati nel nostro cervello e in fondo al nostro portafoglio, pronti a riemergere dentro le nostre teche in salotto o su eBay.
Si era dimostrato che se riuscivi a catturare l’immaginazione di un bambino da piccolo, avevi un fan per sempre. Un’azienda poteva prendere il controllo del potere d’acquisto di un adulto rivolgendogli pubblicità come se fosse stato un bambino.
– Bob “Box” Brown
Gli effetti, a una lettura superficiale, potrebbero sembrare solo negativi o solo criticabili. Brown racconta i pericoli dell’accentramento verso le grandi corporation delle icone della nostra infanzia, dei rischi per il potere dell’immaginazione dei bambini, degli abissi del cosiddetto fandom tossico.
Ma l’autore è esplicito nel dire che non vuole solo criticare questo sistema, anzi ammette di farne parte essendo anche lui un “figlio degli anni 80”. E racconta come l’effetto nostalgia possa creare conforto e aiutarci a ricordare i momenti più belli. In un mondo accelerato nel consumo, nell’informazione, nelle comunicazioni, lo sguardo al passato e al sé bambini invita a rallentare. E a stare un po’ meglio, anche solo per qualche secondo.
L’effetto X-Men
Una tazza di latte e cereali sul divano, la sigla a palla (“insuperabili… insuperabili”), in pigiama. I fumetti sparsi per terra, il pupazzo di Wolverine (non si chiamavano ancora action figure) lì vicino. Forse è questo, alla fine, l'effetto nostalgia, quando sfruttato bene, quando assimilato con piacere: o forse è bello non sentirsi presi in giro da un prodotto commerciale cucito su misura per me e tanti come me.
Le prime puntate di X-Men '97, arrivate su Disney+ mercoledì scorso, mi hanno divertito, emozionato e anche un po' commosso. Sarà, più che l’effetto He-Man, l’effetto Madeleine di Proust. Il ritrovare qualcosa di familiare lasciato lì in sospeso: aspettavo che quelle storie continuassero da venticinque anni, più o meno. E vi ho ritrovato quei personaggi (quelli che ho continuato ad amare e seguire, anche per lavoro, da prima di allora fino a oggi) e il giusto tributo alle storie di Chris Claremont (e anche Scott Lobdell). X-Men '97 è molto più “X-Men” (nelle metafore esplicite, nelle caratterizzazioni, nelle trame) di tante altre cose viste in questi anni su vari media.
Una bella recensione l’ha scritta (tanto per cambiare) Alessandro “DocManhattan” Apreda qui e concordo con molte delle cose che ha detto. Tra l’altro, queste due puntate sono già stracolme di easter eggs, citazioni e riferimenti non solo alle passate stagioni ma anche ai fumetti.
Anche dal punto di vista visivo, la serie dà grandi soddisfazioni per un prodotto da streaming. Manco a dirlo, visti gli anni passati, l’animazione del coreano Studio Mir per Marvel Studios Animation è decisamente superiore allo sforzo produttivo della vecchia serie e delle ultime puntate in particolare, quando il budget venne decurtato.
Aspe’, un inciso super nerd sulla vecchia serie degli X-Men:
La serie animata originale di X-Men: The Animated Series del 1992 ricevette un ordine iniziale da Fox di 65 episodi divisi in quattro stagioni, ai quali se ne aggiunsero altri 10 in coda corrispondenti alla quinta stagione. Nel tentativo di Fox di massimizzare il profitto maggiore era il successo di una serie, il budget venne decurtato progressivamente. L’animazione della quinta stagione venne affidata interamente a un più economico studio filippino, mentre prima se ne occupava un altro in Corea del Sud, Akom, noto per aver lavorato su molti episodi dei Simpsons. Inoltre, le ultime puntate furono finanziate direttamente dalla società partner Saban Entertainment (quella dei Power Rangers) senza il contributo economico di Marvel, che all’epoca stava affrontando la bancarotta. In generale, la serie animata degli X-Men aveva la metà del budget della contemporanea Batman: The Animated Series e c’è da dire che si vedeva eccome.
Il 1997 del 2024 che sembra il 1924
Torniamo alla nuova serie: per quanto un prodotto evidentemente ben fatto, anche nel suo equilibrio tra antico e moderno, non so se X-Men ‘97 avrà lo stesso effetto su chi conosce meno quei personaggi o quelle storie: i "nuovi" spettatori lo ameranno altrettanto? Non so onestamente se sposterà di una copia il venduto dei mensili, mentre sono abbastanza certo avrà effetto sul merchandising. Non so, insomma, a chi parla oltre a me e agli affezionati come me. Non so nemmeno quanto dovrei preoccuparmene, perché comunque sia è una figata.
Ah, in USA, come al solito, il lancio della serie è stato accompagnato da polemiche sul suo essere “woke”, qualunque cosa oggi significhi. Questo perché un personaggio che è un mutaforma, Morph, nelle interviste agli autori è stato definito non-binary, esibendo anche esempi da vecchie puntate. Voglio solo dire che accusare gli X-Men di essere “woke” è una sciocchezza. Perché non servono accuse, lo sono già, per tutte le ragioni già note e che ho spiegato solo in parte qui.
Ma la risposta migliore l’ha data una delle sceneggiatrici e produttrici storiche della serie, nonché co-creatrice insieme al marito Eric, Julia Lewald3:
“Non vi abbiamo insegnato niente? Non avete visto niente? Non siamo riusciti a spiegarvi come essere gentili l’uno con l’altro e andare d’accordo? È davvero strano pensare che abbiamo a che fare con gli stessi problemi di 30 anni fa. È doloroso.”
– Julia Lewald
Comunque sia, il risultato finale è che terminata la visione dei due episodi ho ordinato l’elmo di Magneto che giaceva in fondo al mio carrello Amazon da mesi. Insomma, ci sono cascato: Box Brown was right.
È tutto, per questa settimana. Se non cambio idea nel prossimo numero vi mostro un dietro le quinte proprio di Ilaria Alpi: Il prezzo della verità.
Intanto, se non lo avete ancora fatto potete iscrivervi da qui:
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A rileggerci,
– Marco
No, non mi hanno mai invitato alla ormai famosa scuola di Partinico dove, pare, anche gli studenti reputano Peppino Impastato una figura “divisiva”,
Una delle fonti principali dell’autore è la serie di documentari I giocattoli della nostra infanzia. È bellissima, la trovate su Netflix.
Il discorso di Magneto verso la fine del secondo episodio mi ha fatto venire i brividi... Puro Claremont! Questi sono gli X-Men che leggevo da ragazzo... altri miei coetanei, a giudicare da certi post su certi gruppi FB, evidentemente avevano e hanno problemi di comprensione del testo.
Un 3/4 mesi fa ho ideato la serie Harsh Comics 90's, ovvero dei miei personaggi in chiave Image comics appunto anni 90, ho pensato tanto gli anni 90 non li ha ancora toccati nessuno...invece haha che culo...