62 | Meglio maiale che generato dall’IA
Di cosa lega insieme Trump, Miyazaki, i fumetti degli X-Men, i vostri post su Facebook, il vostro vicino di casa, i trafficanti di Fentanyl e talentuosissimi bambini africani immaginari.
Questa è una vicenda complessa, che proverò a raccontare prendendola alla lontana e mettendo insieme diverse storie apparentemente sconnesse tra loro. Scoprirete leggendo, però, che c’è un unico filo conduttore, una sottotraccia inquietante tanto quanto il twist finale.
Gogna reale
Chissà, forse è solo una questione culturale. Una concezione punitiva della giustizia e del sistema carcerario, del resto, genera mostri. Non che in Italia la situazione delle carceri sia ideale (e prima o poi conto di raccontarvi la mia breve esperienza di insegnante all’Ucciardone) ma ci viene in Europa difficile immaginare un video propagandistico come quello diffuso dalla Secretary of Homeland Security1 ed ex governatrice del South Dakota Kristi Noem. In posa davanti a uomini seminudi e con i capelli rasati, trasportati a forza nelle carceri salvadoregne, intima agli stranieri di non entrare irregolarmente negli USA2. Una campagna che si lega ai veri e propri raid dell’ICE, tra cui un caso che ha travalicato i confini americani, quello della studentessa Rumeysa Ozturk.
La mortificazione di quegli uomini, ennesima prova di disumanizzazione del “nemico” da parte del governo Trump, è piuttosto impensabile in un continente come il nostro dove – nonostante tutto – vediamo il carcere come un sistema rieducativo e non punitivo. Almeno idealmente, sia chiaro.
Dicevo, sarà forse una questione culturale. Sarà pure che in USA il sistema carcerario è fortemente privatizzato e dove c’è il privato c’è la pubblicità. Sarà anche la mentalità trumpiana di spettacolarizzare tutto, seguendo persino i trend dei social.
Gogna artificiale ma reale
Negli stessi giorni, è stato direttamente il profilo ufficiale su X (ex Twitter, quanti ricordi) della Casa Bianca a concretizzare un altro messaggio propagandistico che mortifica un essere umano – per quanto si trattasse di una criminale comprovata.
La Casa Bianca ha “celebrato” con questa immagine l’arresto di Virginia Basora-Gonzalez, trentaseienne trafficante di droga – in primis Fentanyl, che l’amministrazione americana ha identificato come principale problema del paese – proveniente dalla Repubblica Dominicana, rientrata illegalmente in USA. Ormai sembra chiaro che il team comunicazione di Trump, oltre a farsi beffe della rappresentazione delle persone fragili3, sia molto sul pezzo quando si parla di tendenze social, specie se legate all’AI. Ne abbiamo già parlato a proposito del video su Gaza come Atlantic City, successe anche in piena campagna elettorale con l’uso da parte dei Repubblicani dei veri signori e padroni di internet, i gattini (generati dall’IA, ovvio).
Stavolta, la moda che si segue è quella che ha invaso i social negli scorsi giorni: le immagini modificate secondo un’elaborazione di ChatGPT (forse il più popolare strumento di Intelligenza Artificiale esclusi quelli “nascosti” nelle app che usiamo abitualmente) che imita palesemente lo stile dello Studio Ghibli.
Il mio vicino Totò
Sì, proprio come i vostri amici, colleghi, contatti di instagram, i vostri vicini di casa, cugini, ex compagni di scuola su Facebook. Come anche politici di destra e di sinistra. Il Post riassume bene quanto accaduto.
È una cosa che ha fatto molto incazzare i fan4 dello studio Ghibli e di Miyazaki, il più delle volte riprendendo uno spunto di riflessione: come si fa ad “omaggiare” uno studio di animazione che ha fatto dell’artigianalità il suo punto di forza (al punto di essere tacciato di luddismo) con la generazione automatizzata di contenuti? Dov’è la coerenza? Dov’è il rispetto verso quel materiale che – omaggiando – si ammette implicitamente, se non di amare, almeno di conoscere e rispettare?
Di certo, a differenza di altre elaborazioni, queste sono palesemente meno “brutte”. Forse anche ciò ha contribuito al boom di popolarità dei giorni scorsi, che non tiene conto – come dicevo – della storia dello studio Ghibli.
“Se volete continuare a realizzare roba disgustosa, andate pure avanti, ma io non incorporerò mai questa tecnologia nel mio studio. Trovo questa cosa un insulto alla vita stessa.” – Hayao Miyazaki
Gli esperti si sono affrettati a recuperare una clip da un documentario del 2016, Never-Ending Man, in cui il maestro giapponese – forse colui a cui si deve oggigiorno una percezione “matura” del cinema d’animazione – risponde ad alcuni tirocinanti durante una riunione. La clip è diventata presto virale.
Gli animatori avevano mostrato un’animazione realizzata con una pionieristica IA in cui una creatura umanoide si trascinava sulla testa. Questo aveva ricordato a Miyazaki la triste vita di un suo amico gravemente disabile: “Pensando a lui, non riesco a trovare minimamente interessante questa cosa. Chiunque l'abbia creata non ha alcuna idea di cosa sia il dolore”. “Volevamo solo creare una macchina in grado di disegnare come un essere umano", risposero i tirocinanti, e a seguire si poteva ascoltare una riflessione del maestro: “Ho l'impressione che siamo vicini alla fine, abbiamo perso fiducia in noi stessi”.
Al di là del caso specifico, non è difficile comprendere quanto sia distante l’IA da Miyazaki.
Al ladro!
Poi c’è la questione del diritto d’autore, a cui accennavo a suo tempo. Il riferimento allo “stile Ghibli” è palese, il tramite richiama a un “Marchio di fabbrica”, e ciò al di là delle ragioni più etiche e/o poetiche dietro un disappunto. Quantomeno, questa vicenda ha riportato sul tavolo la discussione su “da dove attingono” le IA e su chi diventa il proprietario di quanto generato a partire da opere originali.
Mi è tornato in mente quanto scritto tempo fa da Pepe Larraz, straordinario disegnatore spagnolo (e splendido essere umano) in forza alla Marvel. Le sue storie degli X-Men negli ultimi anni lo hanno reso uno degli artisti più apprezzati e imitati.
Tempo fa, su X, Larraz segnalava alcune elaborazioni di Midjourney palesemente “ispirate” ai suoi disegni e aggiungerei ai colori del suo solito partner, Marte Gracia.
La discussione che ne è generata è molto interessante, ma prima un inciso:
Larraz è uno degli autori più imitati negli ultimi anni, basta farsi un giro nelle scuole di fumetto. Ne sono stati ispirati palesemente veterani come Javier Pina e astri nascenti come l’italiano Vincenzo Carratù. La differenza è che queste persone, professionisti o aspiranti che siano, sono appunto persone che metabolizzano e mescolano ispirazioni, come fa l’essere umano da quando ha iniziato a disegnare.
Tornando alla discussione su X, portò presto a una domanda: chi è il proprietario delle immagini da cui Midjourney attinge per il suo database, per poi rielaborare e generare? Se Pepe Larraz è di certo padrone della sua arte e delle sue mani, è Marvel (parte della corporation Disney) a essere proprietaria dei disegni che realizza. Dovrebbe essere dunque la corporation a sfidare in tribunale un’altra.
E avrebbe senso, se non fosse che lo sciopero di Hollywood del 2023/2024 iniziò proprio quando gli sceneggiatori si preoccuparono dell’avvento dell’IA come concorrenza, avvisando dell’utilizzo presso i grossi studi cinematografici.
Finora, invece, a far causa per copyright infringement generando abbastanza clamore in questa delicatissima e nuovissima situazione sono state tre artiste: Sarah Andersen (che conoscerete senz’altro per Sarah’s Scribbles), Kelly McKernan e Karla Ortiz. La vicenda di Sarah tra l’altro include il tema della manipolazione dei testi delle vignette che ogni fan dei Peanuts conosce bene. E anche in questa occasione c’entra Trump.
Le tre autrici hanno avviato una class action che però nell’ottobre 2023 si è scontrata contro il parere di un giudice federale che si è schierato con i proprietari dei software. Le ragioni sono molteplici e sono leggibili per esteso qui, ma sintetizzabili nella complessità della legge sul copyright e nella necessità da parte degli artisti di trovare “somiglianze sostanziali” tra le loro opere e quanto creato dall’IA. Il tutto, nonostante Andersen abbia dimostrato che almeno duecento dei suoi disegni siano stati “dati in pasto” a quei database. Come lo ha fatto? Attraverso il sito haveIbeentrained.com… che, ironia della sorte, si basa su un’IA.
È chiaro che l’alternativa o l’accompagnamento a un intervento legislativo comune e internazionale sarebbe nell’ “educazione” altrettanto globale all’uso e - forse più importante - all’interpretazione dell’IA e delle immagini che genera. Ma non so se sarebbe più lenta la legge o l’educazione. La seconda potrebbe però aiutare a smontare immagini come quella qui sopra, sempre più frequenti sui social (FB in particolare, non per caso visto il target), solitamente accompagnate da commoventi didascalie in prima persona che finiscono con un punto di domanda tipo “Nessuno mi fa i complimenti per questo capolavoro fatto con la monnezza… Sono stato bravo?”
Fake su fake su fake
A proposito di beghe legali, nelle scorse ore ha cominciato a circolare, prima su twitter poi sugli altri social, una lettera dello Studio Ghibli indirizzata al “Gib Studio” che avrebbe inventato il software incriminato.
Sarebbe una classica lettera di cease and desist, su carta intestata della casa di Miyazaki. Presto, però, navigatori attenti hanno notato e verificato delle incoerenze e palesi falsità nel documento (a partire dal prefisso fittizio 555, lo stesso usato nei film) che dimostrano che sia un fake. Poi la testata giapponese NHK ha interpellato direttamente lo Studio Ghibli a proposito della lettera, e ha confermato che non è stato inviato nessun avviso legale. A rendere credibile la missiva, però, si ci è messa l’impossibilità da qualche ora di utilizzare il filtro, per ragioni ignote (cautela?).
Insomma, un fake per attaccare altri fake, diffuso con gli stessi identici meccanismi di viralità. Il messaggio anche di “protesta” ha fatto il giro e si è adeguato all’epoca che stiamo vivendo.
In mezzo a tante falsità tutto può essere vero, in mezzo a tante sedicenti verità tutto diventa falso. E poi così vince Trump, eh, colui che ha costruito una carriera e un paio di campagne elettorali sulle fake news (in primis il vendere una versione di sé come imprenditore di successo lontana dalla realtà) ma che accusa invece tutti gli altri di fabbricare falsità.
L’era della post verità, a cartoni
Se siete arrivati fin qui avrete colto il filo conduttore, lo stesso che io e altri ribadiamo ormai da anni. Questi strumenti – o come volete chiamarli – sono l’arma perfetta per gli avvelenatori di pozzi. Sono ottime fabbriche di fake news, di propaganda spicciola, di rincoglionimento collettivo. Impoveriscono i messaggi artistici, mettono a rischio posti di lavoro e introiti (non solo per le multinazionali, ma anche per chi ci lavora), appiattiscono il messaggio artistico persino di un Miyazaki. Sono strumenti, torno a dire, che hanno certamente bisogno di una regolamentazione non in chiave luddista ma in chiave di diritti: dei lavoratori, anzitutto, del diritto all’informazione, anche.
Prima di salutarvi, di nuovo l’America…
…ma con due segnalazioni fumettose.
Una è una recensione di (I Wanna Live Like) Common People apparsa su MegaNerd.it, ad oggi forse la più entusiastica e positiva per il fumetto scritto da me e disegnato da Lelio Bonaccorso, Fabio Franchi e Francesco Segala, edito da Panini.
“(I Wanna Live Like) Common People diventa l’opera trait d’union tra il genere supereroistico e il graphic journalism di cui Rizzo-Bonaccorso costituisce un’accoppiata di primissimo ordine: il team creativo, infatti, utillizzando come allegoria poteri e mantelli, vuole indagare più a fondo alcune dinamiche sociali, politiche ed economiche che anche un futuro di questo genere potrebbe presentare in analogia con il mondo di oggi.”
L’altra segnalazione riguarda non un fumetto scritto da me, ma un numero di Martin Mystere finito nell’occhio del ciclone dei soliti perché ha osato inserire dei cenni all’attualità (tra cui l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio di quattro anni fa, citato anche in Common People). La vicenda è riassunta da Fumettologica e approfitto di questo spazio per esprimere la mia solidarietà a Francesco Matteuzzi, scrittore della storia e principale bersaglio dei trumpiani nostrani.
Un post scriptum
Questo post è stato scritto un po’ a rate, in viaggio dalle 3 del mattino e pure con un po’ di febbre, dunque mi perdonerete per i refusi. Sono appena atterrato in Svizzera per un incontro con l’Anpi locale (ebbene sì, c’è un’Anpi a Ginevra) insieme a Lelio e Claudio Stassi e un progetto con le scuole, dopo la bella esperienza dello scorso anno.
Vi saluto ricordandovi che potete condividere da qui:
E iscrivervi a Zona Negativa da qui:
A rileggerci,
– Marco
Una specie di Ministro dell’Interno, per capirci.
Se l’immigrante si trova cinque milioni in tasca è tutto molto più facile, visto il successo dell’operazione Golden Card.
Perché così viene definita una persona ammanettata o un carcerato.
Premetto che non sono un seguace di Miyazaki. Avrò visto solo un paio di film e non posso certamente definirmi un esperto. Questo, però, forse rende il mio punto di vista pIù oggettivo e meno da tifoso.